Fare o fondare la bioetica globale? 1 – La bioetica globale di V.R. Potter e di A.E. Hellegers

La ricerca circa la genesi, lo sviluppo e i metodi di ricerca dei due pionieri della bioetica – V.R. Potter e A.E. Hellegers – ha permesso a Warren T. Reich di distinguere fra tre significati della parola “globale” attribuito alla disciplina (global bioethics): 1. in relazione all’intera terra (una etica universale per il bene del mondo); 2. nel senso di una comprensiva visione di tutti i problemi etici nelle scienze della vita e della salute (in ambito sia “biomedico” che “ambientale”); 3. nel senso che viene utilizzata una comprensiva serie di metodi nell’affrontare quei problemi: un’effettiva incorporazione di tutti i rilevanti valori, concetti, modelli di razionalità e discipline coinvolte (cf. W.T. Reich, Modelli di bioetica. Potter e Kennedy Institute a confronto, 1995).

La prima pubblicazione di Potter, Bioethics: Bridge to the Future (1971), comprendeva una visione della bioetica che era globale nel primo senso: essa era focalizzata sui problemi universali riguardanti il futuro dell’intera terra. Potter con insistenza tendeva a portare l’attenzione su un’etica della Terra (land ethic) – già delineata da Aldo Leopold, secondo Potter precursore della bioetica – un’etica della natura (wildlife ethic), un’etica della popolazione (population ethic) e un’etica del consumo delle risorse (consumption ethic) in una prospettiva internazionale.

Solo dopo che Hellegers e il Kennedy Institute ebbero strutturato la bioetica con un medical focus, Potter espose una prospettiva della bioetica globale nel secondo e nel terzo senso, cioè una bioetica che avrebbe incluso tutti i problemi di entrambe le visioni nella linea di un’ampia ed allargata visione di prospettive, valori, concetti, discipline e metodi. Per queste ragioni, nel 1988, Potter inventò il termine “bioetica globale” per ripristinare la comprensività del campo della bioetica, ovvero medica ed ecologica insieme. In questa visione – chiamata da Potter “la filosofia di una bioetica globale” – le indicazioni etiche biomediche ed ecologiche sono unificate sotto l’unica nozione di “sopravvivenza accettabile” (cf. V.R. Potter, Bioetica globale: la mia filosofia, 1997).

È necessario sottolineare che neanche nella sua proposta di “bioetica globale” i due pilastri – biologia in quanto scienza e neo-utilitarismo come etica – hanno la stessa portata e che c’è la preponderanza del primo sull’altro. La bioetica globale di Potter rivela anche qui il suo basarsi sulla conoscenza biologica. Dalla conoscenza delle leggi che regolano la vita biologica dell’uomo e dell’ecosistema (con il principio naturalistico “ciò che è”) dipende quindi il sistema dei valori umani che la bioetica dovrà portare avanti (con il principio etico “ciò che si deve”). Quale sarebbe questo principio etico per la “nuova saggezza” chiamata da Potter “bioetica” o “bioetica globale”? Il fine ultimo della sua bioetica globale è il valore assoluto della sopravvivenza della specie umana.

Certo assumere la sopravvivenza della specie umana come fine ultimo della sua bioetica globale riporta la riflessione antropologico-etica di Potter nei limiti dell’antropocentrismo per ricercare un difficile equilibrio tra antropocentrismo e biocentrismo, tra la sacralità della vita e qualità della vita, e tra la politica economica e l’etica ambientale. Per Potter la sopravvivenza della specie umana è quindi un concetto astratto e un valore non fondato. Esso appare tuttavia come un valore che ha il primato su tutti gli altri.

Il problema che si pone è quello dall’origine epistemologica: “dove” trovare o “come” stabilire un criterio fondamentale per tale valutazione? Nonostante l’assunzione di fondo della combinazione tra bios (biologia) ed ethos (etica, filosofia della vita), sarà infatti dall’interno della biologia (da “dodici categorie e paradigmi nella biologia meccanicistica”) che Potter cercherà di fondare la “nuova scienza”, la “saggezza della sopravvivenza” – bioetica (V.R. Potter, Bioetica. Ponte verso il futuro, 2000). Ma che cosa, dunque, s’intende per “fondare la bioetica”?

Secondo la nota definizione della Encyclopedia of Bioethics, «la bioetica è lo studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta viene esaminata alla luce dei valori e dei principi morali» [W.T. Reich (a cura di), Encyclopedia of Bioethics, 1978]. “Fondare la bioetica” significa allora, in primo luogo, trovare o stabilire i principi primi della bioetica (i valori e i principi morali) e, in secondo luogo, dedurre – da questi principi primi o fondamentali – le norme morali secondarie o concrete per la condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute.

Nell’essere alle prese col problema della sopravvivenza della specie umana, come valore assoluto e Biological Wisdom, Potter interpreta l’antica sofia in un senso radicalmente diverso, esclusivamente pratico o pragmatico (phronesis). Egli, allora non fonda una struttura epistemica della bioetica globale, ma parla solamente di una politica globale dell’azione in termini di strategia dell’azione, che dall’ambito dell’agire dell’individuo passi all’ambito della polis mondiale, e da guida religioso-morale a un’azione di civiltà che consenta la sopravvivenza della specie umana (M. G. Furnari, Il ruolo del filosofo in bioetica, 1997). Nella stessa direzione va la Bioetica globale di B. Chiarelli (Bioetica globale, 1993) oppure quella di M.W. Fox (Bringing Life to Ethics: Global Bioethics for a Humane Society, 2001).

A differenza di questi, A.E. Hellegers ha manifestato tutto un ordine “globale” di interessi nel primo senso del termine (l’etica universale per il bene comune, l’etica della terra). In quanto ostetrico ed esperto in fisiologia fetale alla John’s Hopkins University, a Yale e a Georgtown, Hellegers – secondo W.T. Reich – «era rimasto deluso delle politiche sulla fertilità nei confronti degli emigranti, [cioè] della tendenza a promuovere la contraccezione senza porre previamente l’attenzione allo sviluppo socio-economico dei Paesi in via di sviluppo» (W.T. Reich, Modelli di bioetica. Potter e Kennedy Institute a confronto, 1997). Hellegers sosteneva, infine, che i cambiamenti socio-istituzionali e le nuove possibilità della medicina, spostano le domande etiche della medicina dalla tradizionale centrata sulla diade medico-paziente, verso l’area dei “calcoli etico-sociali”, riguardante i più significativi valori che dovranno guidare l’impresa di una medicina impegnata a fare scelte di salute pubblica, di allocazione delle risorse e di qualità della vita (cf. A.E. Hellegers, The Field of Bioethics, 1977). Altri autori parlano dell’esigenza di un’etica globale o di un ethos mondiale che sia adeguato al nuovo parametro che è globale e planetario (cf. L. Boff, E. Calducci, E. Gerle).

La sapienza biologicamente fondata (Biological Wisdom) di Potter, Hellegers, Chiarelli o di Fox ha ridotto l’etica alla scienza della sopravvivenza e la bioetica al programma o alla politica globale del progresso nella qualità della vita del genere umano, con un controllo mondiale della fertilità umana per “equilibrare un ecosistema salubre”. Per risolvere i grandi conflitti sul modo in cui i progressi nel campo bioetico potrebbero o dovrebbero essere applicati all’interno delle società pluralistiche, Boff, Calducci e Gerle hanno proposto l’etica planetaria o ethos mondiale. Quest’etica universale, elaborata nella forma di un consenso morale minimo, potrebbe o dovrebbe risolvere i conflitti di valore se si baserà – secondo gli autori sopra menzionati – sul principio morale assoluto: proteggere il senso ultimo dell’universo – il nostra pianeta Terra. L’etica, innanzitutto l’etica universale, invece, richiede una filosofia morale e una filosofia dell’uomo, e la medicina richiede, da parte sua, una filosofia della medicina (cf. G. Russo, Metabioetica, 2004).

p. Edmund Kowalski, CSsR

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