Vaccini tra storia e attualità…

(Fonte: www.biopils.net)

In Europa la storia delle vaccinazioni inizia verso il 1712 con l’introduzione della variolizzazione – una pratica vaccinale nota in Estremo Oriente da secoli – che consisteva nel contagiare i soggetti sani con materiale crostoso preso da soggetti che si erano ammalati di vaiolo in forma lieve. La variolizzazione era molto rischiosa, ma, di fronte all’esplosione ricorrente di epidemie di vaiolo con centinaia di migliaia di morti e grave danno per l’economia e gli eserciti, la pratica si diffuse. Ci furono oppositori feroci e ci furono sostenitori e, fra questi ultimi, papa Benedetto XIV, uomo di grande cultura e sensibilità, il quale affermò: “Se io fossi imperatore o re, l’inoculazione, in vista de’ vantaggi che vi scorgo, sarebbe ormai ammessa ne’ miei Stati. Ma non voglio scandalizzare li timidi e li deboli”. Una svolta epocale si ebbe nel 1796 quando il dottor Edward Jenner, seguendo un’osservazione popolare, inoculò nel piccolo James Phipps del pus preso dalle mani di una mungitrice che aveva contratto il vaiolo vaccino, ovvero il vaiolo delle vacche (“cowpox”). In un secondo momento, inoculò nel bimbo il temibile virus del vaiolo umano (“smallpox”), ma il bimbo risultò protetto. La nuova tecnica di vaccinazione era molto più sicura della variolizzazione e l’effetto protettivo molto soddisfacente così che gli Stati, soprattutto là dove il credo illuminista aveva fatto più breccia, cominciarono a praticarla su vasta scala.  La concezione paternalistica dello Stato tipica del XIX secolo faceva ritener giusto imporre l’obbligo della vaccinazione in quanto confacente al bene comune, ma si scontrava con polemiche mediche, filosofiche e teologiche. Persino E. Kant e H. Spencer erano scettici.

In Francia Napoleone nel 1805 prescrisse che fossero vaccinati tutti i soldati che non avessero già contratto il vaiolo. Nel 1834 fecero lo stesso l’esercito di Prussia e quello del Regno di Sardegna e l’esito era riportato sul libretto di ciascun soldato. Le prime disposizioni per gruppi a rischio della popolazione civile si ebbero nel 1806 in Italia, nei principati napoleonici di Piombino e Lucca, dove si stabilì l’obbligo di vaccinare tutti i neonati nei primi 2 mesi di vita e tutti gli abitanti del Principato che non erano già stati ammalati di vaiolo. Analogo provvedimento fu preso in Baviera nel 1807 e in Svezia nel 1816. Non tutti sanno che nello Stato della Chiesa nel 1822, dopo due anni dallo scoppio dell’ennesima epidemia di vaiolo, papa Pio VII rese obbligatoria la vaccinazione nello Stato Pontificio. Il successore, Leone XII, tolse l’obbligo nel 1824, ma ne mantenne la gratuità. Pio IX nel 1848 promosse una campagna per la vaccinazione con una particolare attenzione alle fasce più disagiate della popolazione e, stabilì un piccolo premio in denaro – due Pauli – per coloro che, dopo aver fatto la vaccinazione gratuita, fossero tornati otto giorni dopo per far verificare ai medici il buon esito della stessa.

La forza dell’obbligo di vaccinazione fu diversa[i]. In Svezia, per esempio, era permesso il rifiuto di vaccinarsi, ma dietro il pagamento di una tassa.  In Germania e in Francia, invece, non erano ammesse deroghe. Negli Stati Uniti, con differenze fra Stato per Stato, l’obbligatorietà per la vaccinazione fu introdotta all’inizio del XIX secolo e, nonostante molte resistenze, la coerenza dell’obbligo di vaccinazione con la libertà del cittadino fu confermata dalla Corte Suprema nel 1907 e di nuovo nel 1922.  Esemplare la storia tormentata della vaccinazione obbligatoria nel Regno Unito[ii]. Nel 1801, l’esercito inglese cominciò ad adottare la tecnica di Jenner, ma la vaccinazione della popolazione incontrava forti resistenze. Dopo un rapporto della Epidemiology Society, nel 1853 fu emesso il Vaccination Act che imponeva la vaccinazione antivaiolosa in Inghilterra e Galles. L’imposizione dette nuovo fiato al movimento anti-vaccinazione che portava ragioni mediche come il rifiuto di immettere materia animale in un corpo umano o religiose come la violazione delle leggi della natura creata da Dio, ma mobilitò anche coloro che non gradivano l’intrusione del Governo nella vita privata dei cittadini. Nel 1865 scesero in piazza 20 mila dimostranti. Furono poste – con scarso successo –  multe in denaro per piegare i renitenti. L’opposizione o meno alla vaccinazione entrava fra i criteri di scelta dei candidati alle elezioni politiche. Nel 1889 una Commissione Reale per la Vaccinazione fu incaricata di studiare la questione e solo dopo 7 anni di estenuanti riunioni e confronti giunse alla conclusione che la vaccinazione è un bene, ma non si potevano obbligare i genitori a vaccinare i loro bambini. Per i genitori che si opponevano “honestly” alla vaccinazione, distinti dai genitori disattenti e pigri, si consigliava di permettere l’astensione dalla vaccinazione, mantenendo una multa, nell’idea che una multa avrebbe scoraggiato dall’opposizione quelli che non erano veramente convinti.  Nel 1907 un folto gruppo di parlamentari avverso alla vaccinazione tolse le sanzioni contro i genitori che non vaccinavano i loro figli, ma questo si tradusse in un crollo nella immunizzazione, tanto che nel 1946 fu reintrodotta la vaccinazione antivaiolosa obbligatoria, per poi abbandonarla di nuovo nel 1971 perché il rischio del vaiolo era basso e più elevato il rischio di effetti collaterali. Le voci allarmistiche diffuse tra il pubblico di un rapporto fra vaccinazioni e autismo fece crollare nel 2003 le vaccinazioni dei bambini contro morbillo, parotite e rosolia, tanto da far considerare l’opportunità di un loro obbligo, ma la conclusione della British Medical Association fu, comunque, che i vaccini dovrebbero essere amministrati su base volontaria[iii].

Questo orientamento della British Medical Association è quello prevalente fra giuristi e bioeticisti come già aveva affermato nel 1995 il Comitato Nazionale per la Bioetica italiano, secondo il quale l’obbligatorietà in certe circostanze sarebbe legittima e ragionevole, ma, nello stesso tempo, auspicava “il passaggio dal regime d’obbligo a quello dell’adesione spontanea da parte della maggioranza della popolazione” (CNB, 2005)[iv]. Ferme restando queste posizioni, il problema della vaccinazione obbligatoria, si sta ponendo con aspetti inediti in Occidente nel contesto della pandemia da Covid-19, soprattutto in relazione all’obbligo di immunizzazione per gli esercenti di professioni sanitarie.

Torneremo in altra occasione sul tema della obbligatorietà dei vaccini, ma credo che sia necessario porre, in via preliminare, una distinzione fra il piano giuridico e politico e il piano etico e, quindi, fra una coazione a vaccinarsi che deriva da una norma esterna alla persona e il senso di responsabilità che fonda un obbligo morale a ricorrere al vaccino. Dal punto di vista etico il ricorso ai vaccini è regolato dalle stesse norme che regolano qualunque altra forma di terapia. Essendo la salute un bene fondamentale della persona, prendersi cura di sé e delle persone a noi affidate è un atto ragionevole e costituisce una grave responsabilità morale. I mezzi con i quali prendersi cura di sé vengono scelti sulla base di un criterio generale di proporzionalità in cui giocano fattori biomedici, fattori circostanziali e fattori personali. Nessuno direbbe che è obbligatorio subire una appendicectomia per una persona che non ha una appendicite acuta, ma se l’appendicite insorge, allora è appropriato clinicamente e doveroso, in linea di principio, sottoporsi all’appendicectomia. Tuttavia, pur continuando ad essere clinicamente appropriato l’intervento di appendicectomia, non si può certo dire che sia un irresponsabile chi non lo praticasse perché si trova per un viaggio di studio al centro della foresta tropicale ed è impossibilitato ad accedere ad un presidio medico adeguato. Parlando di vaccini è fuorviante, pertanto, affermare che i vaccini siano in linea di principio moralmente non obbligatori, così come non avrebbe senso dire che sono in linea di principio obbligatori. Nel caso di interventi bio-medici non si può parlare di obblighi o non obblighi in modo assoluto senza specificare le singole situazioni: se un certo vaccino rappresenta per un certo soggetto – a detta dei medici esperti – l’unica difesa valida contro il rischio di contrarre una certa grave malattia infettiva, esiste l’obbligo morale di riceverlo.  Se, per esempio, in un certo paese la febbre gialla è endemica, esiste in generale per tutti i viaggiatori che vanno in quel paese l’obbligo morale (oltre che quello legale) di vaccinarsi contro la febbre gialla, mentre lo stesso obbligo non esiste per chi va sulla Costa Azzurra. Nel caso di malattie endemiche o epidemiche, l’obbligo di prendersi cura della propria salute con mezzi appropriati e proporzionati, si accompagna all’obbligo di solidarietà di provvedere, per quanto sta in me, alla salute pubblica, componente non secondaria del bene comune. Correttamente, perciò, si legge nella Nuova Carta degli Operatori  Sanitari al n.69 che “dal punto di vista della prevenzione di malattie infettive, la messa a punto di vaccini e il loro impiego nella lotta contro tali infezioni, mediante una immunizzazione obbligatoria di tutte le popolazioni interessate, rappresenta indubbiamente una condotta positiva” (corsivo nostro). Se, infine, una persona non può vaccinarsi per motivi medici (es. immunodepressione) o per motivi soggettivi (es. ripugnanza verso i vaccini che comportano il ricorso a linee cellulari di derivazione embrionale), resta parimenti la responsabilità verso se stessi e gli altri di prendere tutte le precauzioni per non ammalarsi e per non contribuire a diffondere il contagio.

p. Maurizio P. Faggioni, OFM


[i] D. A.  Salmon, S. P. Teret, C. R. MacIntyre et al., «Compulsory vaccination and conscientious or philosophical exemptions: past, present, and future», in Lancet 367 (2006) 436–442 (https://www.sabin.org/sites/sabin.org/files/restricted/Salmon_etal_compulsory_imm_06.pdf).

[ii] G. Millward. Mass vaccination and the public since the Second World War, Manchester University Press Manchester (UK) 2019.

[iii]  British Medical Association Board of Science and Education, Childhood immunisation. A guide for healthcare professionals, BMA, London 2003 (https://www.researchgate.net/publication/281282847_Childhood_immunisationa_guide_for_healthcare_professionals_BMA_June_2003/link/55df1f7d08aeaa26af1099ee/download).

[iv] Comitato Nazionale per la Bioetica, 22-9-1995, Le vaccinazioni, n. 13 (http://bioetica.governo.it/media/1409/m14_2015_vaccinazioni_it.pdf).

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