La transizione ecologica

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Questo post si inserisce nella serie inaugurata da The Governance of Change: at a time of ecological transition. Open Ethical Questions Raised by Laudato sì

Nel XVIII secolo si verifica un vero e proprio cambiamento di paradigma quando lavoro e produzione diventano dimensioni sempre più centrali nella società. A. Smith descrive individui che si gettano nel lavoro, ossessionati dal raggiungimento della più grande produzione possibile, al prezzo più basso possibile (F. Taylor, 1911). Da questo momento in poi la crescita del Pil diventa centrale.

Tuttavia già negli anni ‘70 del ‘900 era chiaro che concentrare tutta la preoccupazione su livelli sostenuti di crescita del Pil nascondeva quanto avveniva a livello della qualità della vita e dell’ambiente. Sull’argomento è in anticipo su tutti l’enciclica di Paolo VI sullo sviluppo del 1968 Populorum progressio.

Nel 2008, la Commissione Grenelle de l’environnement coagulò consenso sull’idea che la soluzione della crisi ecologica fosse la via ideale per risolvere la crisi socio-economica. Economisti quali J. Stiglitz, A. Sen e J.P. Fitoussi nel Rapporto della Commissione del 2009, denunciano espressamente l’inadeguatezza del Pil come misura dello sviluppo economico evidenziando che: «Siamo quasi ciechi quando le metriche su cui si basa l’azione sono mal progettate o quando non sono ben comprese».

Nei corsi di economia, infatti, si continua ad insegnare che il cuore del progresso tecnico e della crescita sono i guadagni di produttività, indipendentemente dal fatto che un incremento di produttività possa generare svantaggi in termini di: rifiuti, inquinamento, sovrasfruttamento di risorse naturali e forza lavoro. Da qui la cecità sul Pil.

Sui mercati finanziari poi, a distanza di quasi 15 anni dalla crisi del 2008, permane il grave problema della mancata separazione tra banche retail e banche d’affari e le poche norme reintrodotte di fatto non sono operative.

L’aver eliminato la separazione tra attività commerciale e d’investimento delle banche a partire dal 1999 negli Usa e a seguire in quasi tutti i paesi occidentali, ha creato degli autentici mostri finanziari globali che ostacolano la spinta alla “transizione ecologica”, perché tutte le grandi banche universali detengono enormi quantitativi di asset legati a carbone, gas e petrolio e non vogliono pagare il costo del cambiamento (G. Giraud 2019).

Tuttavia, un cambiamento nella modalità della produzione di energia è una assoluta necessità se consideriamo che il picco estrattivo di tutti i combustibili fossili è calcolato attorno al 2050, con quello del petrolio già oggi prossimo al traguardo.

Questo significa che quando l’offerta quotidiana mondiale di petrolio avrà raggiunto il picco massimo perché non si può più aumentare la quantità di greggio estratta mentre la domanda quotidiana mondiale la supererà, il rincaro del petrolio sarà pesantissimo, se poi avvenisse bruscamente potrebbe indurre una recessione mondiale, con gravi effetti destabilizzanti.

È evidente da questi pochi accenni l’importanza di una governance del cambiamento per guidare una trasformazione generale che investe i diversi ambiti della vita e dell’economia, il cui scopo è ridurre l’impatto sull’ambiente del nostro stile di vita, pur garantendo un ottimale livello di benessere.

Leonardo Salutati

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