Non solo agape: l’eros di Gesù di Nazareth

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Raccogliendo una provocazione di papa Francesco, secondo il quale, «il giorno di San Valentino, in alcuni Paesi è sfruttato meglio dai commercianti che non dalla creatività dei pastori» (Amoris laetitia, n. 208), nella ricorrenza del Patrono degli innamorati, abbiamo dato avvio a una serie di 4 post dedicati al tema dell’amore (questo è il quarto e ultimo), ringraziando Roberto Massaro per la disponibilità a collaborare. Egli è professore di teologia morale e bioetica presso la Facoltà Teologica Pugliese, e amico dell’Accademia Alfonsiana dove ha conseguito il dottorato con una tesi sull’etica della cura (Collana Tesi Alfonsiane). Sul tema qui affrontato, ha pubblicato Si può vivere senza eros? La dimensione erotica dell’agire cristiano (EMP 2021).

Concludiamo questo breve e semplice approfondimento sull’eros biblico, provando a tratteggiare alcune pennellate sul modo in cui Gesù di Nazareth ha vissuto l’amore. Il suo è stato soltanto un amore agapico, oblativo, privo di ogni spinta passionale di tipo “erotico”? Gesù – ci ricorda il concilio – era veramente uomo: «Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo»(GS,22). Una simile affermazione ci induce, pertanto, ad attribuire a Cristo anche le tonalità erotiche dell’amore. Superata, infatti, ogni contrapposizione e riconducendo eros e agápe a un rapporto di circolarità e reciprocità, ci sentiamo di affermare che lo stesso Gesù, per arrivare al grado più alto dell’amore, sia passato dal gradino più basso, integrandolo e non eliminandolo. Potremmo corroborare questa tesi adducendo l’analisi di più brani riportati dai vangeli. Scegliamo, tuttavia, di soffermarci solo su uno di questi che racconta l’incontro di Gesù con una donna samaritana.

Un eros mendicante

Parlare con una donna, in solitudine, nei pressi di un pozzo, suscita non poca meraviglia nei discepoli (cf.  Gv 4,27). Al tempo di Gesù, infatti, persino parlare in pubblico con la propria moglie era considerato sconveniente, figuriamoci con un’estranea e, per di più, samaritana! L’ostilità tra giudei e samaritani è, infatti, ben nota: questi ultimi erano considerati di etnia spuria – a causa di unioni matrimoniali contratte con membri dei popoli stranieri che avevano conquistato la loro terra – e opposti ai giudei da divergenze teologiche – in quanto contrapponevano il tempio situato sul monte Garizìm a quello di Gerusalemme. L’incontro, inoltre, avviene presso il pozzo di Giacobbe, nella città di Sicar (dettaglio tutt’altro che indifferente, come vedremo!).

Sono sufficienti solo queste annotazioni iniziali per dare al lettore la certezza di trovarsi di fronte a un evento singolare, con forti toni erotici e orientato alla conquista. Già l’espressione iniziale «Doveva (édei) passare dalla Samaria» (Gv 4,4) non indica una necessità geografica – Gesù, infatti, trovandosi nella valle del Giordano, avrebbe potuto anche fare un’altra strada per ritornare in Galilea – quanto, piuttosto, l’esigenza di compiere la volontà di Dio.

Il fatto, poi, che questa volontà porti Gesù nei pressi di un pozzo ce ne esplicita i contenuti. È ai bordi di un pozzo che Giacobbe aveva corteggiato Rachele (Gen 24,12-25), mentre Mosè aveva difeso le figlie di Reuèl, ottenendo da quest’ultimo in moglie Sipporà (Es 2,16-22). In questo luogo l’incontro assume i tratti di un vero e proprio corteggiamento. Sembra così disvelarsi il senso di quel «doveva». La volontà di Dio che Gesù manifesta in questo episodio è quella di riconquistare la sposa perduta – di cui la donna samaritana è immagine – facendosi bisognoso, proprio come lei, per poter incontrare gli uomini nel loro stesso bisogno, nelle loro stesse mancanze e donare loro la vera acqua che spegne ogni sete. Un evento dal forte sapore erotico, che offre preziosi insegnamenti morali e apre alla missione.

Ciò che il brano giovanneo rende manifesto è quel tratto umano di “povertà”, di “mancanza” di Gesù che lo spinge all’incontro con la donna samaritana per riempire un vuoto. È proprio per colmare una mancanza, allora, che l’evangelista dipinge la scena con questi tratti erotici. Del resto, la mitologia greca non ci aveva consegnato il dio Eros come figlio di Penía (povertà)?

Un eros desiderante

C’è un elemento chiave che può farci comprendere chiaramente la differenza tra l’atteggiamento della donna e quello di Gesù. Mentre la prima ragiona in termini di soddisfazione di un bisogno, il maestro di Galilea trascende il bisogno stesso, mostrando un desiderio più profondo, un desiderio di vita, un desiderio di essere. In lui, contrariamente a quanto abbiamo visto nell’episodio di Davide e Betsabea, l’incontro vissuto nell’intimità non si trasforma in seduzione o in volontà di possesso. L’altro viene attirato per essere condotto a Dio.

Parlare di eros in termini di desiderio, allora, mette in luce una caratteristica propria dell’uomo che può costituire una base anche per l’etica sessuale cristiana. Esso è, anzitutto, circolarità relazionale, è l’ineluttabile scoperta che l’uomo è un mendicante e non basta mai a se stesso. Esso non ha nulla a che fare col bisogno, che è sempre bisogno di qualcosa di specifico (come il bisogno di mangiare o il bisogno di bere). Il desiderio, al contrario, indica una mancanza di qualcosa che non si conosce ed è spinta a una ricerca senza fine.

Il tratto erotico dell’amore di Gesù è il suo desiderio di andare verso l’altro per scoprire insieme una mancanza che apre a Dio e colma la nostra umanità mendicante. Alla fine del racconto, la donna dimentica la brocca. Non pensa al suo bisogno. È colma di eros, del desiderio di ricongiungersi a Dio.

Mai senza eros!

Giunti al termine di questo percorso, allora, non possiamo che affermare che il messaggio cristiano sull’eros umano è un messaggio di liberazione. Eros e peccato non sono sinonimi. Anzi, per alcuni aspetti essi si pongono agli opposti del cammino di crescita dell’uomo. Eros, infatti, è desiderio di vita, spinta a uscire incontro all’altro, mentre il peccato è, anzitutto, ripiegamento e idolatria di se stessi. Parlare di eros significa parlare della parte più intima e recondita del sé, di un aspetto così delicato e complesso che richiede tempo per essere conosciuto a fondo e che, una volta compreso, aiuta a dischiudere il mistero stesso della persona. Non solo, infatti, l’eros non può essere estromesso dalla vita dell’uomo e della donna, ma costituisce un elemento ineludibile per condurre a una piena maturazione e fioritura di sé. Esso è spinta propulsiva che consente di uscire dalle strettoie del proprio egoismo; energia che affretta l’incontro con l’altro per colmare il vuoto della propria finitudine; luce che illumina le profondità misteriose del nostro essere; passaggio obbligato per giungere alla pienezza dell’amore totale e disinteressato che Cristo ci ha insegnato.

Roberto Massaro

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