Promesse e problemi con gli organoidi cerebrali

Gli organoidi sono strutture biologiche tridimensionali, derivate in vitro da cellule staminali pluripotenti o da cellule somatiche, che riproducono in miniatura istologia e funzionalità di organi dell’organismo [vedere post precedente sugli organoidi]. Gli organoidi rappresentano una delle grandi speranze della biomedicina sia nel campo della ricerca sia nel campo della medicina rigenerativa. Esistono organoidi riferibili a cuore, reni, intestino e altri organi, incluso il cervello. Gli organoidi cerebrali (brain o cerebral organoids) sono strutture tridimensionali autoassemblate formate da centinaia di migliaia fino a milioni di cellule che ricordano l’organizzazione cellulare e trascrizionale e l’impronta epigenetica di un cervello umano in sviluppo. Rispetto agli altri organoidi, presentano potenzialità e problematiche del tutto particolari alle quali dedichiamo questo intervento[i].

Un primo ambito di applicazione degli organoidi cerebrali è quello sperimentale. Le tecniche fin qui usate per studiare in vitro il tessuto cerebrale sono poco soddisfacenti perché si tratta di cellule isolate dal loro contesto naturale e dalla complessa architettura del tessuto cerebrale. Queste condizioni sono troppo lontane dalla realtà per poter studiare temi come lo sviluppo del cervello o il suo funzionamento normale o la fisiopatologia dei disturbi neuropsicologici e psichiatrici. Gli organoidi cerebrali dovrebbero permetterci di superare queste limitazioni. Già ci sono protocolli per lo studio della patogenesi dell’autismo idiopatico, della schizofrenia e della microcefalia causata da virus. Gli organoidi cerebrali stanno migliorando le nostre conoscenze scientifiche sui tumori cerebrali, sullo sviluppo del sistema nervoso e sulla neurodegenerazione. Si può ipotizzare che in futuro gli organoidi cerebrali saranno d’aiuto nella riparazione di lesioni cerebrali dovute a traumi, ictus o resezioni chirurgiche. Si stanno anche sviluppando particolari organoidi cerebrali collegati a organoidi non cerebrali in strutture dette assembloidi che possono fornire informazioni sulla comunicazione tra il cervello ed altri organi, come, per esempio, la relazione intestino-cervello.

Oltre alle questioni etiche e giuridiche comuni a tutti gli organoidi, legate al consenso sull’uso e sfruttamento anche commerciale delle cellule donate per derivarne organoidi e alla distruzione di embrioni per ricavarne staminali pluripotenti di origine embrionali, nel caso degli organoidi cerebrali un problema particolare viene dall’uso di tessuto cerebrale di origine fetale, derivato, cioè, da aborti[ii].

Il tema è stato ampiamente dibattuto in passato in riferimento al prelievo da feti abortiti di particolari tessuti cerebrali per la terapia di patologie neurologiche come la Chorea di Huntington: non ci sarebbero problemi etici nel caso di aborti spontanei, mentre il ricorso ad aborti procurati crea problemi quanto alla cooperazione[iii].

Vorremmo, però, concentrare la nostra attenzione su alcune nuove problematiche e preoccupazioni connesse con gli organoidi cerebrali e, soprattutto, sulla loro capacità di stabilire spontaneamente reti neurali e avviare attività elettrica in vitro. Uno studio di A. Muotri e colleghi, più volte commentato e citato nella letteratura specialistica, ha dimostrato la presenza, negli organoidi cerebrali, di un’attività elettrica paragonabile all’elettroencefalogramma di neonati prematuri[iv].

Alcuni Autori si chiedono, pertanto, se organoidi cerebrali più complessi non potrebbero un giorno sviluppare forme di sensibilità, rispondere a stimoli luminosi o provare qualcosa che potremmo definire sofferenza. Ci sono neuroscienziati che non escludono la possibilità che gli organoidi mostrino capacità cognitive avanzate, come l’apprendimento o il recupero di ricordi. Sono già state sperimentate tecniche che potrebbero rendere gli organoidi cerebrali capaci di interagire con l’ambiente esterno collegandoli a tessuto muscolare o a corpi robotici controllabili. Il collegamento fra organoidi cerebrali, organoidi talamici e organoidi retinici potrebbe integrare l’essenziale del percorso visivo e realizzare la percezione visiva in vitro.

Una domanda inquietante è se gli organoidi, in particolari condizioni sperimentali, potrebbero mai sviluppare forme aurorali di coscienza e acquisire così uno status morale superiore[v].

La questione rimanda a prospettive di natura filosofica sia per definire la coscienza che non significa semplicemente il pensare o il sentire, ma piuttosto il sapere di pensare e di sentire, sia per la differenza tra l’autocoscienza umana ed altre forme di coscienza, sia per il rapporto tra un’entità dotata di consapevolezza e il suo eventuale diritto a non soffrire sulla base della presunzione che un essere dotato di coscienza e di sensibilità può avere interesse a evitare sensazioni sgradevoli. Possiamo qui richiamare il dibattito, così vivo nell’ambito della filosofia animalista, sul diritto a non soffrire degli organismi senzienti, ma non sembra che, sotto questo punto di vista, si possa comunque attribuire agli organoidi umani uno status morale superiore a quello degli animali di laboratorio[vi].

La difficoltà di definire in modo univoco che cosa sia la coscienza, se essa vada interpretata come autorappresentazione o non piuttosto come autoriflessione, così come la difficoltà di immaginare una coscienza disincarnata, avulsa cioè da un corpo, da sensazioni e relazioni, non hanno impedito a diversi gruppi di ricercatori di sviluppare test di coscienza oggettivi e standardizzati adatti a verificare la presenza di funzioni cognitive avanzate degli organoidi cerebrali. In letteratura, l’ipotesi dell’emergere della coscienza negli organoidi non è da tutti condivisa, ma coloro che la ritengono possibile raccomandano cautela nella ricerca e nell’uso degli organoidi cerebrali. Si invocano controlli rigorosi da parte di Comitati etici indipendenti e linee guida internazionali[vii].

Ci si interroga sui tipi di tutela legale che potrebbe essere riconosciuta agli organoidi cerebrali e se si possa consentire di manipolarli geneticamente o di distruggerli o di usarli per il trapianto negli esseri umani. J. Koplin e J. Savulescu hanno delineato un quadro etico che stabilisce restrizioni più rigorose per l’uso di organoidi cerebrali più avanzati e più complessi e più suscettibili, quindi, di sviluppare forme di autocoscienza[viii].

Suscita apprensioni il trapianto di organoidi di derivazione umana negli animali e la creazione, quindi, di chimere, organismi composti da cellule di due o più specie[ix].

Il trapianto negli animali viene effettuato principalmente per dare agli organoidi cerebrali una buona vascolarizzazione che permetta una crescita superiore a quella ottenibile in vitro così da mettere a nostra disposizione modelli più adatti per comprendere lo sviluppo, la fisiologia e la fisiopatologia del sistema nervoso centrale. A fronte di questi indubbi vantaggi, non si può nascondere che inquieta l’idea di avere cervelli chimerici e, quindi, di pervenire ad una sorta di “umanizzazione” del cervello animale. Il dibattito si è acceso intorno a uno studio di Mansour et al. in cui organoidi cerebrali sono stati trapiantati in roditori neonati. Le cellule nervose umane si sono ambientate perfettamente nel contesto animale: gli organoidi sono stati vascolarizzati, hanno mostrato una differenziazione avanzata con formazione di macroglia e microglia, hanno sviluppato sinapsi (cioè connessioni) con i neuroni dei roditori e hanno partecipato ad alcune attività cerebrali, reagendo a segnali ambientali e inviando stimoli a loro volta[x].

Si teme che l’integrazione di cellule umane nel sistema nervoso centrale degli animali possa portare in essi ad una coscienza analoga a quella umana con la drammatica conseguenza di un animale che si rendesse conto di essere un animale e un animale da esperimento e con le relative questioni morali sul rispetto dovuto al suo ambiguo statuto ontologico e morale e sulla liceità del sottoporre un’entità chimerica superdotata a esperimenti dolorosi o di sopprimerla alla fine di un esperimento. Si potrà negare a queste chimere il salto ontologico dall’animalità all’umanità che solo un’anima spirituale può determinare, ma non si può escludere a priori che, in futuro, si potranno creare in laboratorio animali che esprimono capacità e facoltà superiori a quelle che mai un animale, neppure le scimmie antropomorfe, hanno presentato. Anche in questo caso si invocano linee guida e revisioni etiche più rigorose per garantire il benessere degli animali.

L’ultima e più recente questione posta dagli organoidi cerebrali è l’integrazione fra organoidi cerebrali e intelligenza artificiale per dare quella che è stata chiamata intelligenza organoide[xi].

Con questo termine si indica un campo interdisciplinare emergente che si prefigge di dar vita ad una informatica biologica o bioinformatica attraverso un’interfaccia fra organoidi cerebrali e tecnologie dell’intelligenza artificiale, una interfaccia cervello-macchina che permetta di sfruttare lo straordinario potere di elaborazione del cervello umano. Applicando l’intelligenza artificiale, con la sua capacità di gestire velocemente una mole enorme di dati, alla biologia degli organoidi sarà possibile l’analisi completa dei complessi comportamenti degli organoidi, delle molteplici interazioni neuronali e delle risposte dinamiche agli stimoli. Questa sinergia promette risultati sorprendenti nella ricerca biomedica, nello sviluppo di farmaci, nella definizione di modelli predittivi, nella simulazione di eventi patologici e nella medicina personalizzata. Si prevede che la bioinformatica sarà più veloce, più efficiente e più potente dell’informatica basata sul silicio perché richiederà solo una frazione dell’energia richiesta dai modelli attuali di apprendimento automatico e si gioverà della celerità ed efficienza dell’apprendimento biologico il quale, rispetto alla macchina, ha bisogno di utilizzare meno dati per imparare a risolvere problemi. L’intelligenza organoide chiede che gli organoidi cerebrali si evolvano in strutture 3D sempre più complesse e più stabili, ricche delle cellule e dell’informazione genetica che sono associate con l’apprendimento e suscettibili di essere connesse a dispositivi di input e di output di nuova generazione e a sistemi di intelligenza artificiale con apprendimento automatico. L’intelligenza artificiale avrà bisogno, ovviamente, di nuovi modelli, di appositi algoritmi e di tecnologie di interfaccia per comunicare con gli organoidi cerebrali e per elaborare e archiviare le enormi quantità di dati che essi generano.

In questo orizzonte affascinante la domanda sulla possibilità di autocoscienza di un organoide cerebrale si intreccia con la domanda sulla possibilità dell’intelligenza artificiale di sviluppare forme di coscienza paragonabili a quella umana. Non è azzardato ipotizzare che l’interazione fra la complessa struttura delle reti neurali dell’organoide cerebrale e la mole di dati immagazzinati ed elaborati da una intelligenza artificiale che operi secondo il modello delle reti neurali porterà a un reciproco potenziamento e amplificazione fino ad esitare in forme sorprendenti e inedite di autoconsapevolezza.

p. Maurizio Pietro Faggioni, ofm


[i] Per una presentazione d’insieme: Mulder L. A., Depla J. A., Sridhar A. et al., «A beginner’s guide on the use of brain organoids for neuroscientists: a systematic review», in Stem Cells Research and Therapy 14 (2023) 87 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10105545/pdf/13287_2023_Article_3302.pdf; Zhao H. H., Haddad G., «Brain organoid protocols and limitations», in Frontiers in Cellular Neuroscience 20 (2024) 18, 1351734 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10987830/pdf/fncel-18-1351734.pdf.

[ii] Cf. Sawai T, Kataoka M., «The ethical and legal challenges of human foetal brain tissue-derived organoids: At the intersection of science, ethics, and regulation», in European Molecular Biology Organization reports 25 (2024) 4, 1700-1703 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC11015037/pdf/44319_2024_Article_99.pdf.

[iii] Si veda il parere positivo del Comitato Nazionale per la Bioetica italiano che fu sottoscritto anche da mons. Sgreccia, con la sola voce dissonante della dottoressa M. L. Di Pietro, bioeticista cattolica con la quale concordiamo considerando che si devono impiegare feti con particolare età gestazionale e, quindi, aborti eseguiti in tempi e modi rispondenti alle necessità sperimentali (p. 6): CNB, Terapia cellulare del morbo di Huntington attraverso l’impianto di neuroni fetali, 20-5-2005 https://bioetica.governo.it/media/1864/p63_2005_terapia-cellulare-per-huntington_it.pdf.

[iv] Cf. Trujillo C. A., Gao R., Negraes P. D., Gu J. et al., Muotri A. R., «Complex Oscillatory Waves Emerging from Cortical Organoids Model Early Human Brain Network Development», in Cell Stem Cell 25 (2019) 3, 558-569.e7 https://www.cell.com/action/showPdf?pii=S1934-5909%2819%2930337-6.

[v] Cf. Lavazza A., «Human cerebral organoids and consciousness: a double‑edged sword», in Monash Bioethics Review 38 (2020) 105–128 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7723930/pdf/40592_2020_Article_116.pdf.

[vi] Cf. Koplin J. J., «Weighing the moral status of brain organoids and research animals» in Bioethics 38 (2024) 5, 410-418 https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/bioe.13290.

[vii] Cf. Pichl A., Ranisch R., Altinok O. A. et al., «Ethical, legal and social aspects of human cerebral organoids and their governance in Germany, the United Kingdom and the United States», in Frontiers in Cell and Developmental Biology 11 (2023) 11, 1194706 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10679683/pdf/fcell-11-1194706.pdf.

[viii] Cf. Koplin J. J., Savulescu J., «Moral Limits of Brain Organoid Research», in Journal of Law and Medical Ethics 47 (2019) 4, 760-767 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7433685/pdf/10.1177_1073110519897789.pdf.

[ix] Cf. Kataoka M, Gyngell C, Savulescu J, Sawai T., «The Ethics of Human Brain Organoid Transplantation in Animals, in Neuroethics 16 (2023) 27 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10550858/pdf/12152_2023_Article_9532.pdf.

[x] Cf. Mansour A. A., Gonçalves J. T., Bloyd C. W. et al., «An in vivo model of functional and vascularized human brain organoids», in Nature Biotechnology 36 (2018) 5, 432-441 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6331203/pdf/nihms-979860.pdf.

[xi] Cf. Hartung Th., Morales Pantoja I. E., Smirnova L., «Brain organoids and organoid intelligence from ethical, legal, and social points of view», in Frontiers in Artificial Intelligence 6 (2024) 1307613 https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/frai.2023.1307613/full.

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