La meditazione quaresimale: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20)

La meditazione quaresimale: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20)

(Academia Alfonsiana, 27 marzo, 202) – Nella Cappella Paolina del Palazzo Apostolico in Vaticano si trova un enorme affresco, largo più di sei metri e alto altrettanti, dipinto dal grande Michelangelo nel 1549. Raffigura la scena della conversione di San Paolo sulla via di Damasco.

Nella parte superiore del dipinto si vede Gesù in volo sopra le nuvole. Getta un raggio di luce su Paolo, che è caduto da cavallo e giace cieco a terra. Il cavallo si sta impennando, uno scudiero cerca di controllarlo. I compagni dell’Apostolo, scudo alla mano, si difendono da quello che sembra un attacco alieno.

Mezzo secolo dopo, nel 1601, altro pittore, il Caravaggio, raffigura la stessa scena in una famosa tela che abbiamo contemplato nella chiesa di Santa Maria del Popolo durante la passeggiata organizzata della commissione delle attività culturali dell’Accademia il 26 marzo.

Su uno sfondo scuro, la figura di un cavallo occupa gran parte del quadro. Il giumento è calmo, come se nulla stesse avvenendo. Dietro l’animale, un uomo anziano sembra completamente ignaro di ciò che sta accadendo. In questo quadro non c’è Gesù nel cielo, né soldati presi dallo stupore, né fenomeni soprannaturali visibili. Tutto ciò che vediamo è Paolo a terra con gli occhi chiusi e le braccia aperte. Sta avendo una visione.

Il libro degli Atti degli Apostoli narra la conversione di Paolo in maniera simile a come sarà raffigurato da Michelangelo: una luce accecante, Cristo presente, e i compagni del futuro apostolo «ammutoliti, sentendo la voce, ma non vedendo nessuno» (Atti 9,7).

Invece, nella lettera ai Galati, Paolo scrive su questo evento in maniera molto sobria:

Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo. Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti… (Gal 1,13.15-16)

«[Dio] si compiacque di rivelare in me il Figlio suo». Con questa semplicità descrive Paolo la sua conversione. Niente sulla luce, la voce, i compagni, niente sul cavallo. Soltanto: «si compiacque di rivelare in me il Figlio».

Paolo non dice che Dio ha rivelato suo Figlio a me, ma in me. Dio non si è limitato a mostrare Cristo a Paolo. Il Risorto si è reso presente in lui, trasformando il suo essere.

Paolo scrisse la lettera ai Galati in risposta a una grave crisi delle comunità cristiane che lui aveva fondato in Galazia, una regione che oggi corrisponde alla Turchia centrale.

In queste terre erano sorte alcune delle prime comunità cristiane composte per lo più o interamente da non ebrei. Quando questi neofiti ricevettero il battesimo, Paolo non richiese loro di essere circoncisi.

Fino ad allora, i cristiani erano in maggioranza ebrei e la circoncisione faceva ancora parte dell’identità cristiana. Dopo tutto, Gesù Cristo stesso era stato circonciso all’ottavo giorno, e i dodici apostoli erano tutti circoncisi. Gesù, che aveva avuto parole critiche nei confronti della pratica di altre usanze ebraiche —come il sabato o il cibo kosher— non aveva mai detto nulla sulla circoncisione.

Tuttavia, Paolo è convinto che se i Galati si lasciassero circoncidere non farebbero altro che tradire il Vangelo. La lettera ai Galati è una riflessione che collega questo atto particolare —la circoncisione— con ciò che Paolo considera l’essenza del Vangelo. Non è questo ciò che fa la teologia morale? Trovare la connessione tra condotta cristiana e il vangelo.

La Lettera ai Galati è la risposta di Paolo a una crisi concreta causata dai predicatori della circoncisione, ma è anche il più antico documento che abbiamo che risponde alla domanda: cosa significa essere cristiano?

Paolo aveva capito, forse più profondamente di chiunque altro nel suo tempo, cosa significa essere cristiano, o in altre parole, qual è lo scopo della comunità cristiana, per quale motivo esiste la Chiesa.

La chiesa esiste per essere un segno concreto della fraternità universale resa possibile dalla redenzione di Cristo. Nulla di più. Nulla di meno. La Chiesa non ha altro scopo. Non è un gruppo definito da segni di identità chiari e visibili —come in questo caso la circoncisione— è definita dalla sua missione.

La chiesa e fondata per essere un proof of concept. Quando una ditta start-up sviluppa una nuova tecnologia, la prima cosa che cerca di produrre è un modello funzionante, una «prova di concetto». La chiesa è un proof of concept della fraternità universale in Dio.

La Quaresima è nata come un tempo di accompagnamento per i catecumeni che si preparavano a ricevere il battesimo durante la liturgia pasquale. Accompagnando questi catecumeni, l’intera comunità rinnovava il suo impegno nel progetto cristiano.

Nei primi secoli, il battesimo veniva sempre eseguito per immersione. Ciò che questo sacramento simboleggia non è un lavaggio, ma una sepoltura. Il suo significato non è lavare la macchia del peccato originale, ma morire con Cristo e risorgere con lui. Per questo la Pasqua è il tempo proprio per la sua celebrazione.

Paolo scrive ai Romani

Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova (6,4).

In Galati troviamo un passaggio che secondo molti esegeti faceva parte della liturgia battesimale. Secondo questi autori, quando, dopo il battesimo, il neofito usciva dall’acqua, un ministro, o forse tutta la comunità in coro, doveva proclamare:

poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,27-28)

Il nuovo cristiano si trovava così a far parte di una comunità come nessun’altra, in cui le differenze di nazione, classe o genere sono state sostituite da una comunione più profonda e significativa in Christo.

Se i Galati si fossero lasciati circoncidere, avrebbero confuso questa chiesa universale —cattolica— con un gruppo sociale con i suoi segni di identità, contrapposto ad altri gruppi.

La circoncisione, inoltre, è esclusiva dei maschi. Mentre il battesimo è lo stesso sacramento per tutti, la circoncisione è un rito esclusivamente maschile. Se venisse adottata come parte dell’iniziazione cristiana, significherebbe che, in un modo fondamentale, il maschio è il protagonista della nuova alleanza.

Quando Paolo scrive contro le «opere della legge» non sta parlando contro le norme morali o contro lo sforzo morale. Sta dicendo che la circoncisione e gli altri segni dell’identità ebraica —«opere della legge»— sono diventati obsoleti.

L’alleanza tra Dio e Abramo è stata segnalata da questi segni: dalla «opere della legge». Queste norme separavano il popolo ebraico dagli altri popoli, preservando la sua identità. Con Cristo, questa alleanza è stata allargata per includere tutti i popoli della terra.

Con Cristo è stata avviata una nuova forma di comunità umana in cui tutti i popoli, le classi sociali, gli uomini e le donne possono essere riconciliati ed entrare in una comunione non basata sul dominio degli uni sugli altri.

La teologia chiama questo insegnamento «dottrina della giustificazione per fede». Paolo stesso lo chiama semplicemente «il vangelo». Lo formula così in Galati 2,16:

sapendo tuttavia che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno (Gal 2,16).

Questa frase è la tesi della lettera ai Galati. Tutta l’epistola è disegnata per provare e sviluppare questa idea.

Giusto dopo queste parole centrali, Paolo cambia di registro. Da un linguaggio oggettivo e dottrinale passa ad un altro intimo ed esperienziale dominato dalla prima persona singolare. Scrive:

In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge,
affinché io viva per Dio.
Sono stato crocifisso con Cristo,
e non vivo più io, ma Cristo vive in me.
E questa vita, che io vivo nel corpo,
la vivo nella fede del Figlio di Dio,
che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me (2,19-20).

zō        dè       oukéti            egō,   zē        dè       en emoì        christòs
vivo    però   non più         io,       vive    pero   in me             Cristo

«Vivo, ma non è più il mio ego a guidare la mia vita, ora sono un nuovo essere abitato da Cristo».

Non abbiamo più bisogno di spendere le nostre energie per proteggere il nostro «ego» con chiari segni d’identità o dimostrando di essere migliori degli altri nell’adempimento e nella difesa di questa identità (sia cattolica, sacerdotale, di una congregazione religiosa o di un movimento, …)

Ciò che ci fa cristiani e l’esperienza di essere accolti da Dio. Il Dio rivelato nel Cristo «che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me». Il Dio presente a ciascuno di noi nello Spirito Santo.

Quando ci scopriamo sotto lo sguardo amoroso di Dio nell’io vulnerabile e vulnerato che sono, e che si nasconde sotto le maschere dei segni d’identità con cui mi proteggo dall’intemperie del mondo trovo, finalmente, la pace.

La fiducia nel «Figlio di Dio che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» mi ha fatto comprendere che sono amato incondizionatamente. Non ho bisogno di provare che sono un bravo membro del mio gruppo. Come il battesimo, la giustificazione per fede soltanto può essere accolta in nudità

Quando scopriamo questa accettazione, quest’amore, che ci abbraccia pienamente in tutto ciò che siamo, scopriamo allo stesso tempo che Dio ama tutti, senza eccezioni. Da questa esperienza nasce la Chiesa.

poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,27-28)

Papa Francesco conclude la sua enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale  Fratelli tutti con un riferimento a un mistico del nostro tempo, Charles de Foucauld, beatificato dal papa Benedetto XVI e canonizzato da lui l’anno scorso. Il Papa scrive di lui:

«Voleva essere, in definitiva, “il fratello universale”. Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti» (n. 287).

Ecco la vocazione di ogni cristiano, rinunciare all’ego per percorrere con Cristo il cammino della kenosi, dell’abbassamento. Diventare così il fratello o la sorella di tutti e di tutte. Partecipare con tutta la chiesa alla construzione della fraternità universale.

In questa quaresima e Pasqua chiediamo Dio la grazia di rinnovare il nostro battesimo:

Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova (6,4).

prof. Alberto De Mingo Kaminouchi, CSsR